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“Ora come non mai, gli era chiaro che l’arte è sempre e senza
tregua dominata da un duplice motivo.
Un’instancabile meditazione sulla morte da cui
instancabilmente crea la vita"


Il dottor Zivago, il celebre romanzo di Borìs Pasternàk, viene sovente considerato "tout court" un romanzo d'amore.
E non v'è dubbio che la storia di Jurij e di Lara rappresenti uno dei più intensi e coinvolgenti incontri amorosi della letteratura universale. Pure l'opera, certamente la più conosciuta del grande poeta e narratore russo, ha una sua complessità difficilmente omologabile. La stessa vicenda dei protagonisti è intimamente connessa con gli eventi storici e politici di cui sono testimoni, quelli della Rivoluzione d'ottobre e delle sue conseguenze sociali e civili.
Ma altresì la semplice lettura storico-sociale del romanzo, che pure costò a Pasternàk il diniego di varcare la frontiera, come è noto, per ricevere il Nobel (assegnatogli dopo la pubblicazione clandestina di Zivago in Italia, presso Feltrinelli, nel 1957), risulta alla verifica estremamente riduttiva, giacché l'opera costituisce in qualche modo una summa, intricata quanto si vuole ma intensissima, di tutto il pensiero pasternakiano, del suo modo di sentire la vita e di tradurre la sua stessa condizione di uomo e di poeta.
La forma del romanzo non è lineare, non mancano contraddizioni, nella cronologia degli eventi, nella rappresentazione dei luoghi.
Appaiono ingenue e paradossali talune coincidenze narrative, l'incrociarsi occasionale di persone e di eventi e di situazioni nel dipanarsi della storia. La scrittura può apparire talora frammentaria, procedere sull'onda delle emozioni, delle intuizioni, dei riverberi poetici, delle esplosioni e delle implosioni del sentimento.
Eppure nella sua dinamica inventiva e nel suo tessuto metaforico, "Il dottor Zivago" appare un'opera eccezionale: non solo storia d'amore, ma altresì analisi profonda della vita e del destino dell'uomo.
E' l'uomo infatti che Pasternàk pone al centro della sua testimonianza, un uomo vero, con i suoi limiti, con le sue certezze e le sue fragilità, ma anche con una profonda passione per la verità e la vita. Jurij e Lara commuovono non per la loro positività, ma per la loro verità umana. E' il non umano che spaventa, che atterrisce.
La stessa figura di Komarovskij, che appare nell'economia dell'opera l'uomo senza scrupoli, duro e impietoso, una figura perversa, ha una sua coerenza, una sua cedevole sensibilità.
Egli resta ammaliato dalla bellezza di Lara, ne è sinceramente preso. Una verità umana incline comunque al bene, al riscatto del dolore, dell'errore, alla speranza.
Quando Tonja, la moglie tradita di Jurij, scrive al marito prima di lasciare la Russia alla volta di Parigi, pure lacerata dal dolore della perdita, pur esprimendo la sua condanna, rivolge all'uomo parole di benedizione: «Addio. Lascia che ti faccia il segno della croce per tutta l'interminabile nostra separazione, i rischi, l'ignoto, per tutto il tuo lungo, oscuro cammino. Non ti accuso di nulla, non ti faccio nessun rimprovero, fai della tua vita quello che vuoi, purché sia bene per te». Lo stesso Jurij, benché vinto dal trasporto per Lara, è dilaniato dal sentimento, conteso tra l'amore riconoscente e devoto e l'impeto della passione: «Era inconcepibile: amava Tonja fino alla venerazione. La pace della sua anima, la sua tranquillità gli erano più care di ogni cosa al mondo. Il suo onore gli stava più a cuore che non a lei stessa o al padre. Per difendere l'orgoglio ferito di lei avrebbe ucciso con le proprie mani l'offensore. Ed ecco, quell'offensore era lui, adesso». E' questa profonda, sensibilissima umanità a segnare in filigrana il contenuto del romanzo, riflettendo una forte adesione alla vita, ma anche un senso alto, quasi religioso dell'esistenza, personale e collettiva.
La vita, anche nel dolore, nello strazio della carne, nelle sue contraddizioni e nei suoi turbamenti, nelle sue stesse ambiguità, è sentita e vissuta come pienezza, come continua rivelazione. Una rivelazione individuale, che implica tuttavia una partecipazione collettiva: «Fuori si stendeva Mosca, oscura, muta, affamata. Si accorsero, allora, che solo la vita simile alla vita di chi ci circonda, la vita che si immerge nella vita senza lasciare segno è vera vita, che la felicità isolata non è felicità...». E' il contrario del nichilismo, il contrario della rinuncia, è partecipazione, immersione totale nella realtà interna dell'uomo e in quella esterna della comunità in cui si vive e della storia. Su questa base psicologica e spirituale si incontrano propriamente Jurij e Lara: «Tutti e due provavano la stessa avversione per quanto è fatalmente tipico dell'uomo di oggi, per la sua artificiosa esaltazione, per la sua enfasi chiassosa, per quella mortificante inerzia della fantasia che innumerevoli lavoratori dell'arte e della scienza si preoccupano di alimentare perché la genialità resti un'eccezione».
Jurij inizialmente aderisce agli ideali della rivoluzione, crede nella necessità di rifondare la vita sociale, di dare al popolo speranza di benessere e di eguaglianza, ma quando assiste alle deviazioni della burocrazia, agli aridi intellettualismi del potere che non mostra alcuna vera attenzione per l'uomo, allora si tira fuori, psicologicamente si allontana: «Ammetto che voi siete i fari e i liberatori della Russia, che senza di voi sarebbe finita, sprofondata nella miseria e nell'ignoranza.
Però non mi interessate... I signori dei vostri pensieri abbondano nei proverbi, ma hanno dimenticato il più importante, e cioè che non si ama per forza». Perché al centro del suo universo psicologico resta la persona: la sua dignità, la sua libertà, la sua unicità, al di là di ogni credo ideologico e di ogni comportamento, privato e sociale.
Per questo Jurij prende le distanze da Antipov, il marito di Lara - che sarà il caporivoluzionario Strél'nikov - di cui pure riconosce la grande lucidità e integrità intellettuale: «Ma per essere uno scienziato che apre nuove vie, alla sua intelligenza mancava il dono del fortuito, la forza che con scoperte improvvise viola la sterile armonia del prevedibile. Nello stesso modo, per operare il bene, alla sua coerenza di principi mancava l'incoerenza del cuore, che non conosce casi generali, ma solo il particolare, ed è grande perché agisce nella sfera del piccolo». Per questo Jurij, pur aderendo alla rivoluzione, durante la forzata partecipazione alla guerriglia, parteggia per i giovanissimi cadetti, vittime innocenti di una guerra fratricida, e nutre autentici sentimenti di compassione per lo zar: «Faceva pena in quel grigio e tiepido mattino di montagna e stringeva il cuore pensare che un così timoroso riserbo e tanta timidezza potessero costituire l'essenza dell'oppressione». Un orizzonte di lettura più ampio potrebbe consentire di leggere il romanzo come libro filosofico e religioso - i riferimenti biblici peraltro sono numerosissimi - prima ancora che letterario.
L'opera è la testimonianza di una scelta di vita entronautica, vissuta nel cuore e nella verità delle cose.
Quando il protagonista si rifugia a Juriatim, presso gli Urali, per fuggire da Mosca, ormai dilaniata dalla guerra civile, e alla cattura dei bolscevichi, gli basta il nuovo contatto con la vita semplice e la natura, per ritrovare una tranquillità e un'armonia in cui si riverbera il senso stesso della bellezza e dell'arte: «Che felicità lavorare per se stessi e per la famiglia dall'alba al tramonto, costruirsi un tetto, coltivare la terra per nutrirsi, farsi il proprio mondo, come Robinson, imitando il creatore nella creazione dell'universo , e rinnovarsi, rinascere, allo stesso modo di quando nostra madre ci ha dato alla luce». Fu in fondo questa spiritualità a indurre le autorità sovietiche a decretare la censura del romanzo.
Perché, pur non contenendo alcun riferimento esplicito di condanna o di adesione alla rivoluzione, in realtà Zivago proponeva un universo esattamente contrario alla logica del partito: un universo che indaga la vita dall'interno, speculandone le ragioni eterne e contingenti, e solo poi riflettendole negli avvenimenti del destino e della storia. Di qui il senso religioso di Pasternàk; un sentimento che appare intimamente legato alla bellezza della vita intesa come ventura e come innamoramento.
Di qui ancora il significato dell'amore come illuminazione. Lara è nell'universo psicologico di Jurij la rivelazione, la via che riverberata nell'universo della metafora porta all'assoluto, che passa attraverso la dolcezza dei sensi, ma altresì alla dolcezza dell'anima. Per questo Pasternàk scrive: «Il loro era un grande amore. Ma tutti amano senza accorgersi della straordinarietà del loro sentimento. Per loro invece, ed in questo erano una rarità, gli istanti in cui come un alito di eternità nella loro condannata esistenza sopravveniva il fremito della passione, costituivano momenti di rivelazione e di nuovo approfondimento di se stessi e della vita».
La sintesi estrema di questo percorso interiore che si specchia nella concretezza sensibile della vita e punta ad una rigenerazione dell'essere, al di là di ogni sconfitta è l'arte: l'arte come dono della creazione che conduce sulla soglia dell'infinito, che è riscatto della stessa finitezza umana: «Ora come non mai, gli era chiaro che l'arte è sempre e senza tregua dominata da un duplice motivo. Un'instancabile meditazione sulla morte da cui instancabilmente crea la vita».
La fine del romanzo è tragica.
Dopo la forzata separazione Lara si darà a Komarovskij e finirà la sua vita nell'anonimato, mentre Jurij morirà stroncato dal dolore della perdita in un misero alloggio della capitale.


IL FILM

Una delle produzioni più spettacolari degli anni Sessanta (uscì negli Stati Uniti nel 1965 e costò ben quindici milioni di dollari), Il dottor Zivago, tratto dall'omonimo romanzo, per la regia di David Lean e con un cast di eccezione, composto da Omar Sharli, nella parte di Jurij, Julie Christie in quella di Lara e ancora Geraldine Chaplin e Klaus Kinski, è stato uno dei film più visti di tutti i tempi. C'è indubbiamente una notevole distanza tra la pellicola e il libro: il film indulge sulla storia d'amore e modifica in parte l'impianto del romanzo. Si perdono in gran parte i significati più alti dell'opera, i contenuti più umani e spirituali. Pure la scenografia è notevole e traduce con molto fascino i luoghi del romanzo, soprattutto nei campi lunghi e nelle scene di massa.
Eccellente è la fotografia e ottima è anche l'interpretazione degli attori principali che esprimono una grande partecipazione emotiva. Forse la lunghezza è eccessiva (192 minuti) e fa cadere a tratti l'attenzione. Le musiche, del francese Maurice Jarre, e in particolare "Il tema di Lara", sono diventate popolari.


BORIS LEONIDOVIC PASTERNÀK

Borìs Leonidovic Pasternàk, uno dei maggiori poeti e scrittori del '900, nacque a Mosca nel 1890 da una famiglia di intellettuali di origine ebrea (il padre era un conosciuto pittore, insegnante presso la locale accademia, la madre una nota pianista).
Studiò musica e filologia e le sue prime raccolte di poesie risentono di una sensibilità attenta al ritmo e allo scatto dell'immagine, espressi non di rado in un clima metafisico, in qualche modo riconducibile a quello dei poeti inglesi del Seicento. In seguito orientò la ricerca verso un teso gioco di incastri semantici e verbali, di riferimenti simbolici, accostandosi allo spirito futurista. La raccolta che gli diede popolarità fu "Mia sorella la vita" pubblicata nel 1922, dopo aver circolato in manoscritto per anni.
Seguirono "Temi e variazioni", del 1927, e "La seconda nascita", del 1933. Pasternàk si tenne sempre fedele ad una sua vocazione intimista, distante da ogni retorica sociale e politica, aperta al nuovo della sperimentazione linguistica e del rinnovamento letterario, ma anche legata alla tradizione culturale più genuina della sua terra, ricercando sempre nel verso una primigenia forza evocativa e lirica. Questo suo essere distante dalle forme della cultura propagandistica, lo rese inviso al sistema. Sicché in vita, benché la sua poesia fosse molto conosciuta ed apprezzata, non ebbe mai in patria adeguati riconoscimenti. Una coniugazione dello spirito popolare e della sua liricità passionale e sensitiva si ha nelle sue poesie degli anni Quaranta, in particolare in "Sui treni mattinali", del 1943, e in "La vastità terrestre" del 1945. Le Poesie di Jurij Zivago, forse le più alte, fittamente intessute di religiosità e di un sentimento pànico dell'esistenza, sono riportate a corredo del suo più celebre romanzo, "Il dottor Zivago" (che fa seguito ad altre opere in prosa, in parte autobiografiche, come "L'infanzia di Lüvers" e "Il salvacondotto"). Il dottor Zivago, storia di un amore appassionato - sfondo la rivoluzione bolscevica - ma anche summa del pensiero spirituale e poetico dell'autore, pubblicato clandestinamente nel 1957 in Italia e tradotto poi in 29 lingue, gli procuro' subito grande popolarità. In esso, pur non muovendo in maniera netta ed esplicita una critica al potere, proponeva una visione dell'intellettuale più intimistica, più spiritualista, che mal si accordava con gli stereotipi culturali del regime. Fu espulso dall'Unione degli Scrittori e fu costretto a rinunciare al Premio Nobel, conferitogli nel 1958. Di Pasternak si ricordano anche le splendide traduzioni da Shakespeare e da poeti georgiani. Morì nella sua dacia di Peredelkino, nei pressi di Mosca, nel 1960. Per giorni il popolo sfilò silenzioso dinanzi alla sua tomba.



 
   
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