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IL VECCHIO E IL MARE




Di Alessandra Moro

 

"Il vecchio aveva capelli bianchi e rughe profonde sulla nuca.
Le mani erano piene di cicatrici per le bruciature provocate dalle lenze che tenevano grosse prede, ma nessuna cicatrice era fresca ... tutto in lui era vecchio tranne gli occhi, che avevano lo stesso colore del mare ed erano vivi
e indomiti".


Si apre e si chiude con la stessa immagine, affascinante e totalizzante: il mare. E’ "The Old Man and the Sea", film del 1958 diretto da John Sturges (Henry King e Fred Zinneman non accreditati) e tratto dall’omonimo romanzo di Ernest Hemingway: più che “con” Spencer Tracy, la pellicola “è” Spencer Tracy, toccante, perfetto protagonista - nominato all’Oscar per l’interpretazione - insieme al ragazzo Manolito (Felipe Pazos jr.) e al pesce (un superbo esemplare di marlin), le altre due figure importanti che completano il cast scarno ma dalla grande intensità interpretativa.
La storia inizia definendo subito il forte legame esistente tra il vecchio pescatore Santiago ed il ragazzo che da lui ha imparato a pescare. Più di ottanta giorni senza fortuna: questo il deludente bilancio della recente attività del vecchio, che spinge il padre di Manolito ad affidare il figlio ad altri pescatori, più favoriti dalla sorte. Ciò non basta a far disaffezionare il giovane, che continua a frequentare Santiago accudendolo con la dedizione di un vero nipote. Di più: quasi rovesciando il rapporto anagrafico e riservando al vecchio le cure di un padre maturo e premuroso.
Ogni mattina all'alba i pescatori del villaggio si recano alla spiaggia portando sulle spalle gli alberi delle barche ed illuminando con fioche luci il cammino, ancora non rischiarato dai primi raggi. Tra loro, anche Santiago, incrollabile nella sua tenacia di pescatore pur da lungo tempo sventurato, ma pronto come ogni giorno ad affidarsi alle onde del mare, che paragona ad una donna, ugualmente seducente e volubile.
E' il giorno della rivincita: a mezzogiorno una delle esche fresche procurate dal ragazzo attira un pesce dalle dimensioni non ancora manifeste, ma sicuramente gigantesche, a giudicare dalla potenza con cui comincia a tirare a sé l'esca.
La piccola imbarcazione del vecchio viene trascinata verso ignota destinazione per tre giorni e tre notti, riducendo le forze di Santiago, ma entrambi due solitari e fedeli abitanti del mare, protagonisti ora di una lotta scandita dalla pazienza e dalla resistenza. All'alba della prima notte il marlin guizza fuori dall'acqua: è grande, sorprendentemente grande. «Pesce, ti voglio bene e ti rispetto infinitamente,
ma ti avrò ammazzato prima di stanotte» pensa Santiago. Durante la seconda notte, sotto una pioggia battente, il vecchio intona preghiere cristiane, per distrarsi dalla stanchezza che lo attanaglia; pensa poi al baseball - di cui è appassionato e che è uno degli argomenti prediletti di conversazione con il ragazzo - e ai tempi in cui, giovane e forte, in una taverna di Casablanca si era sfidato con un possente nero a braccio di ferro e dopo un giorno ed una notte aveva vinto: paziente e resistente.
La notte successiva il vecchio cede al sonno e rivede in sogno il suo villaggio cubano, l'Africa vissuta da giovane, le balene... il marlin si rifà vivo tirando la lenza e svegliando Santiago: alla luce della luna si accende la lotta. Il vecchio, sfibrato, pensa al ragazzo , che vorrebbe accanto a sé, intanto si leva il terzo sole e il robusto pesce sfila accanto alla barca: è il momento giusto. Il pescatore raccoglie le ultime forze, lo colpisce con l'arpione e lo uccide, riprendendo poi la via del ritorno con il trofeo appeso a fianco dello scafo e lungo quanto esso. Passa appena un'ora: un famelico squalo mako è attirato dalla fresca preda e, avvicinatosi spavaldamente, la azzanna. Santiago difende la sua preda e, colpendolo, riesce ad uccidere l'assalitore, ma ormai il marlin perde sangue. Ciò significa che ben presto altri squali arriveranno.
Il vecchio cade vittima dello scoramento, troppo bello per essere vero, troppo bello per durare. La preda di una vita, destinata a perdersi miseramente tra le fauci di altri pesci. L'attacco in massa non tarda; il pesce viene dilaniato e a nulla vale la strenua difesa del vecchio. Al calar dell'oscurità, con le luci dell'Havana ormai in vista, giunge il terzo assalto, che lascia del marlin a Santiago solamente una lunghissima lisca, grottesca icona dell'originario bottino.
Sconsolato, affranto, certo di essere stato sconfitto per aver osato spingersi troppo in là, fisicamente - sfidando il mare aperto con il suo guscio di noce - e umanamente, per la sua ostinazione, Santiago arranca solitario e spossato fino alla sua povera capanna.
E’ una sorta di via crucis, nella reale rappresentazione cinematografica e nel misticismo che ispira interiormente.
Poco dopo giunge Manolito a prestargli le sue cure e ad assicurargli un sereno riposo ristoratore.
Il marlin - ciò che ne resta - è a riva, sotto gli occhi degli altri pescatori, che ne intuiscono comunque le inusitate dimensioni. In giornata, turisti di passaggio al bar sulla spiaggia si stupiscono a loro volta, nonostante il loro sia un occhio profano.
Il vecchio dorme ancora, le onde continuano il loro eterno movimento.

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Nel film originale la voce narrante è di Tracy; nel doppiaggio italiano è del bravo Gino Cervi, mentre quella di Santiago è di Lauro Gazzolo.
I titoli di coda segnalano che «alcune scene di pesca usate in questo film fanno parte delle riprese effettuate in occasione della conquista del record mondiale di pesca da parte di Alfred Glassel jr. al circolo della pesca di Cabo Bianco, Perù; Alfred Glassel, in queste scene, ha fatto da consulente speciale». Le altre location spaziano da Cuba all'Ecuador, Colombia, Panama, Bahamas, Hawaii.
Il piccolo Felipe Pazos, che interpreta Manolito, aveva otto anni; nato nel '44 all'Havana, ricopre qui il suo unico ruolo cinematografico; è figlio di Felipe Pazos sr., economista, tra gli artefici della rivoluzione del 1959. La quarta moglie dello scrittore, la giornalista Mary Welsh, appare nel film di Sturges: è la turista che, quasi al termine della storia, si meraviglia osservando dal bar sulla spiaggia le dimensioni della lisca del marlin, arenata sulla riva. Sceneggiata da Peter Viertel, il film rispecchia con fedeltà il racconto di Hemingway, il cui stesso stile, peraltro, ben si presta alla riduzione in pellicola, già caratterizzato come è da dialoghi asciutti e ritratti psicologici non compiuti, ma suggeriti dalla storia in atto, secondo il criterio dell'omissione cinematografica. Il primo candidato alla regìa, John Huston, tralascia il progetto, pur essendo (anzi, proprio perché era) amico di Hemingway: conoscendo l'andamento privo di retorica ed enfasi dei suoi libri, lo ritiene poco consono alla ridondanza hollywoodiana.
E' un punto di vista personale: Huston è regista sobrio ed essenziale, quasi un corrispettivo hemingwayano al cinema, poco incline a mettere le mani su un lavoro letterario che gli somiglia, quasi sentisse di contaminarlo con le luci della ribalta. Sturges smentisce questa diffidenza artistica, si destreggia bene, con rispetto, soprattutto grazie alla presenza del grande Tracy. La colonna sonora, composta da Dimitri Tiomkin, viene premiata con l'Oscar. " Il vecchio e il mare " viene pubblicato nel 1952, quando l'autore ha cinquantatré anni. La traduzione italiana è opera di Fernanda Pivano per la Arnoldo Mondadori.
Il racconto vale ad Hemingway il Nobel per la letteratura 1954 e in quell'occasione lo scrittore sente l'esigenza di condividere il riconoscimento con il corrispettivo reale di Santiago - Gregorio Fuentes Betancor, scomparso il 13 gennaio 2002 alla veneranda età di 104 anni - : «Gregorio, il libro è ispirato a te, questo premio è anche tuo». Fuentes era il "capitano" della barca di Hemingway, il Pilar, all'ancora nel porticciolo di Cojìmar e lasciatagli in eredità, su cui però non era più salito dopo il suicidio dell'amico «Mi ricorda Papa - soprannome cubano di Hemingway - e mi rende triste».
Fuentes era nato nel 1897 a Lanzarote (isole Canarie), era sbarcato a Cuba giovanissimo e vi si era stabilito, lavorando come mozzo, come marinaio e infine come «patron», ossia responsabile del governo di una barca. L'amicizia con lo scrittore americano risaliva al 1928 ed aveva avuto un'origine fortuita: Gregorio soccorse Ernest, sorpreso con altri amici da una tempesta vicino allo stretto della Florida. Giunti in porto sani e salvi, Hemingway propose al marinaio di lavorare per lui, nel caso fosse ritornato a Cuba. Ciò accadde nell'estate del 1935. Fuentes lavorò anche come controfigura di Spencer Tracy, in una sorta di gioco delle parti speculare ed invertito: controfigura di se stesso.


 
   
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