Ormai inoltrati nel Terzo Millennio, credo che gli artisti possano agevolente esprimersi con pochi dubbi su alcuni punti fermi dell'arte e del sentire che li ha determinati. Tra questi autentici " snodi " a cui nessuno puo’ sottrarsi, troviamo forse per prima la rappresentazione del sentimento della solitudine : l'umano e’ solo nell'universo, ma anche nel mondo che si e' creato attorno, perche' quasi sempre la presenza del suo simile non lenisce questa incombente sensazione. Interprete e artista primario di questa realta’ nel nostro tempo e' stato per le arti visive Edward Hopper. Gia' prima della meta' del secolo scorso, egli si stacca da qualsiasi stilema dei suoi contemporanei per affrontare la modernita', con le sue alienazioni, contraddizioni, e fondamentalmente con la incipiente solitudine che la pervade, in ogni contesto.
L'umano guarda le strade, i palazzi, la tecnologia che lui stesso ha creato, ma anche l'oceano, l'orizzonte, e nel piu’ piccolo anche le strade di campagna deserte, lo squallore di certi ambienti delle citta' o il grigiore piatto dei paesi, e prende coscienza di essere irrimediabilmente solo. E assieme a questa angosciante consapevolezza, in un passo che e' breve, viene spesso a trovarsi in un'altra situazione, collegata alla solitufine stessa, l'incomunicabilita' col proprio simile, che e’ tanto piu’ angosciante quanto piu' l'ambiente in cui si muove e' angusto.
Cosi' Hopper puo' colpire nel segno rappresentando una coppia annoiata in un anonimo appartamento, una donna pensosa in uno scompartimento ferroviario, o seduta ad un bar, o in preda a una sua invisibile disperazione tra le quinte di un cinema, come pure affacciata alla finestra in un giorno assolato.
Dalla comparsa delle opere di Hopper, nessun artista puo' piu' sottrarsi da quella vista del mondo moderno, come fosse un passaggio obbligato ; si può affermare addirittura che vi sia un’ impossibilita', per l’umano del nostro tempo, di sottrarsi alla solitudine e per l’artista di evitarne la rappresentazione.
Ma c'e' anche di piu', perche’ chiunque sia dotato di un minimo di sensibilita' ritrova le scene e le immagini di Hopper nel quotidiano, in un contesto che puo' apparire d’improvviso, che puo' essere ovunque, all'angolo di una strada, mentre si da’ uno sguardo sui tetti, o con gli occhi rivolti al mare. Siamo quindi di fronte all'universalita' dell'arte di Hopper, seguito ormai nel Terzo Millennio da artisti di tutto il mondo, consumati, dilettanti, ma anche occasionali, che abbiano in mano un pennello, la matita o anche una macchina fotografica.
Ed e' forse proprio in quest'ultimo modo che l'arte ha potuto aggiungere un capitolo all'opera di Hopper, immortalando con la fotografia la realta’ di quella solitudine che il grande artista aveva posto sulle sue tele, a conferma della sua percezione e di una condizione ineluttabile .
E’ cio' che vediamo qui, negli scatti di Duccio Castelli, che quale poeta ha quella facoltĂ in piu’ nel catturare contesti, che possono a loro volta racchiudere un ulteriore elemento sensoriale, quel segmento di poesia che sempre puo’ rendere meno disperante la nostra solitudine.