Nulla e' piu' struggente di un addio, della partenza, e come ci dice la letteratura, e' un po' come morire.
Siamo nel 1915, l'Italia e' entrata nella Prima Guerra Mondiale, e il poeta napoletano Aniello Califano scrive, forse ispirandosi a una lettera, alcuni versi pensando alla tristezza di un soldato nell'inferno del fronte con il pensiero rivolto alla sua innamorata lontana. I versi vengono musicati da Enrico Cannio, e diventano canzone.
Alla fine di quell'anno, ogni baldanza interventista e' scemata e morti, feriti, dispersi sono gia' 235.000. In uno scenario terrificante decine di migliaia di ventenni soffrono al fronte pene inimmaginabili, e gli unici pensieri che li riscaldano un po' sono la casa e il ricordo di una ragazza che hanno dovuto lasciare, magari all'inizio dell'innamoramento, quando lasciarsi e' per un giovane una sofferenza atroce.
A Napoli, ancor piu' che in altre citta' italiane - in quanto sara' la gioventù' del sud a pagare il tributo di sangue piu' pesante - molte famiglie ricevono dal fronte lontano telegrammi che comunicano la morte dei propri figli e fratelli. In questa atmosfera cupa e di dolore, la canzone ' O surdato 'nnammurato " inizia a commuovere gli animi e ad essere cantata in ogni dove.
Se l'io della canzone e' un soldato, le parole non parlano pero' mai di guerra, ne' fanno riferimento a episodi militari o spargimenti di sangue, si parla solo dell'amore di due giovani forzatamente separati.
Ma ecco che scatta il sistema, implacabile, disumano, crudele nella sua burocrazia e spietatezza : i vertici dello stato maggiore avvertono la forza di quella canzone e l'impatto sentimentale su quei giovani disperatamente desiderosi di attaccarsi a qualcosa di estraneo alla guerra e al suo quotidiano scenario di morte. Cosi' il brano viene bollato come disfattista e messo al bando. Si giunge anche al provvedimento di ordinare ai Carabinieri di portare davanti alla corte marziale chiunque canti ' O surdato 'nnammurato ".
L'infame generale Cadorna chiede con insistenza punizioni esemplari per i giovani, che con questo motivo esprimono nient'altro che l' amore eterno per l'amata, ricordando quell'unica cosa che puo' farli uscire per un istante dagli orrori della guerra, un affetto.
Dopo qualche mese tuttavia la canzone e' sulla bocca di ogni soldato, di ogni regione e citta',e i bruti del comando devono forzatamente chiudere gli occhi.
La guerra finisce, ma e' il fascismo, al pari degli ottusi capi di qualche anno prima, a riprendere il divieto e a considerare la canzone motore di disfattismo. Ma un inno d'amore e' universale, non lo si puo' cancellare, ha in se' il massimo della forza dei sentimenti umani, e la canzone sopravvive, ancora, e per decenni e decenni,fino ad oggi.
Il motivo e le parole sono cosi' forti che non possono non essere riprese dagli artisti italiani piu' sensibili, e i suoi significati, ormai di dominio comune, danno al brano una forza emotiva straordinaria.
Ci proverà per prima Anna Magnani nel 1971 a cantarla nel film " La sciantosa", poi l'interprete più consono in assoluto, quel Massimo Ranieri che puo' rappresentare in tutto e per tutto il ragazzo partenopeo chiamato alla guerra e col cuore spezzato che canta " ' O surdato 'nnammurato " a squarciagola.
Chi scrive e' invece convinto che la versione della grande Gabriella Ferri rappresenti l' interpretazione piu' intensa e penetrante, in grado di provocare una sicura commozione e portare il pensiero di chi ascolta alle sofferenze umane create dalla guerra.