Ho gli occhi chiusi eppure vedo. Anche il dolore sembra non esserci più. Sono in pace. Ma dove sono? Ho sognato sino a pochi attimi fa, c’era silenzio e c’era la neve. Non è mai assoluto il silenzio, il silenzio ha il suo rumore. E sentivo la neve cadere, scendeva fitta spostata dal vento, era il rumore del vento che udivo, adesso ricordo. C’era quella luce così difficile da dipingere, una sfida per la mia mano, per il mio intelletto. Sono un pittore, sono un artista, sono al di sopra di tutti. È così che mi sento. E non potrei altro che essere artista. L’ho sempre saputo che sarei diventato grande. Ero così smunto, solo, gracile a … dov’ero? Ah, sì, Milano. Come potrei scordarlo? Vagabondavo e mi rinchiusero. Ero già affascinato dalla luce, dai colori, dai riflessi. Guardavo rapito il gioco del sole sull’acqua dei Navigli, potevo starci ore, e quei colori accesi della primavera quando il cielo era blu, non ceruleo, non turchese, non azzurro, il cielo di Milano. Non era così grande come mi incanta sopra lo Schafberg, ma quel colore deciso contrastava caparbio con i grigi, i rossi mattone, i neri.
Quanto tempo sono stato a Milano? Com’era tutto diverso. Solo ieri ero orfano e solo. Ben triste è la condizione di un fanciullo con nessuno al mondo, soccorso per carità e senza amore. Tutti i bambini dovrebbero avere un’infanzia colma di premure, avere la sicurezza degli affetti che scaldano l’animo e fanno sentire ricchi.
La mia vita è cambiata quando ti ho incontrato, Bice. Tu lo sai d’avermi salvato. Come potrei vivere senza te? Sei il mio amore, sei la madre dei miei figli, possiedi viscere di madre. Quattro, sono quattro i nostri figli e loro hanno tutto, una casa ampia e luminosa, non entra mai il gelo nella nostra casa, no. L’ho voluta ricca, come se ci fosse sempre il sole. E i nostri figli vestono bene, sono eleganti, hanno abiti caldi e lussuosi e una tata che si occupa di loro. Ognuno è stato una benedizione. Non credo ai legami imposti dalla legge o dalla religione. Bice, tu ed io siamo legati con il sangue e i nostri figli lo testimoniano.
Amo le donne e le rispetto, amo le madri che si curano dei figli, ma quelle che sono senza cuore e abbandonano la loro carne condannandola alla solitudine più triste, no, quelle le ho destinate all’oblio dell’inferno dantesco che ho riprodotto per loro. L’eternità sarà la prigione alla quale le ho condannate. Le lussuriose, bianche, oro, argento e azzurre, s’innalzano illuse verso il tramonto, sospese nel vuoto e senza speranza.
Ma devo dipingere, devo alzarmi, devo continuare, devo finire il trittico. Un’opera grandiosa, l’ho qui nella testa, già concepita e sta crescendo nelle mie mani, degna dell’artista che sono, una consacrazione per me. Ne sono orgoglioso, sì, l’ho voluto io, nonostante la fatica e le spese che devo sostenere, perché ho bisogno di uomini che mi aiutino a portare le tele e l’occorrente per dipingere, senza contare la luce che deve essere perfetta e la mia mano non deve tradire il cervello, ogni pennellata deve essere un capolavoro, ogni segno una meraviglia. Non basta il colore esatto, non basta la mia immaginazione, i miei quadri devono parlare, devono esprimere esattamente il momento che io colgo. I miei dipinti devono essere come la natura, sorprendenti, audaci, sensuali … La voluttà di un fiore, la curva dei suoi petali, la sfumatura fedele, precisa, rigorosa della tinta. Chi vede le mie tele deve sentire la natura ritratta, dipingo un filo d’erba con lo stesso rigore che metto nello studio di un albero o di una montagna. Tutti devono sentirsi dentro il quadro, cogliere lo stesso vento o il sole o il gelo che io dipingo. Il gelo. Ho dipinto tanta neve, quel livido candore per me è la morte, rappresenta il lutto.
Che freddo sento, non mi capita mai d’essere freddoloso, so sfidare qualsiasi tempo, io! Eppure, ho tanto freddo e mi sento solo, non c’è più nessuno accanto a me? Non posso parlare, non mi vengono le parole. Ecco laggiù una luce perlata, chi c’è?
È una luce velata, mi ricorda quel posto lontano, dove vissi una volta, Pusiano. Sì, Pusiano. C’è il lago lattiginoso e la nebbia cancella i confini. Ed ecco, li vedo emergere e arrivare, i contadini e le loro bestie, i cavalli, le mucche, le pecore. Ah, quanto lavoro laggiù, ma li ho eternati, nel mio quadro ormai famoso, non moriranno mai, continueranno a vivere negli sguardi che si poseranno su di loro, quel quadro mi ha permesso di piantare i piedi sulla gloria e da lì non scenderò più.
La mia capacità di elaborare la realtà, sarà compreso questo? Interiorizzo il reale ma la mia mente lo modifica e lo restituisce sulla tela e tutti lo possono ammirare come lo intendo io, perché a me basta uno sguardo per comprendere, per vedere nella mia anima come restituirò il luogo, i contadini o la natura. Questi pensieri così nitidi li sento ora, anche se sono qui impotente e le tenebre mi circondano. Strano. Mai mi era parso tanto chiaro il mio lavoro. E com’è veloce la mente. Ho un turbinio in testa, come la neve nella tormenta. Pensieri, immagini, frasi, sensazioni, paesaggi, colori, tele, tutto si mescola dentro di me e sento grida, parole, come se dovessi far uscire ogni cosa dalle mie viscere.
A quarant’anni ero giunto alla fine del principio, ora sono al principio della fine. Cos’è mai la fine? Oh, è terribile se venisse ora la fine. Mi aspettano a Parigi, non sono ancora pronto, Bice, Bice. Quel sogno che ti raccontai dove morivo solo e la slitta mi riportava da te sulla strada di ghiaccio ti sentii piangere, Bice, non disperarti, ora mi alzo e ti raggiungo. Sto ancora un momento sdraiato, sta passando il freddo finalmente e vedo laggiù il nostro ultimo viaggio verso le montagne, a Maloja, Bice, ricordi? Rammento la luce netta, cristallina, limpida che ci avvolgeva a mano a mano che salivamo. Te la raccontavo la luce, ricordi? E tu mi sorridevi colma d’amore per questo tuo uomo pazzo e solitario che, come amante, si è scelto l’arte e tu non puoi competere quando il desiderio di dipingere mi prende ossessivo anche se voglio la tua compagnia, perché adoro ascoltare la tua voce che mi legge i nostri adorati romanzi francesi.
Quando dopo la pianura scoprii i colli e poi le vette altissime delle Alpi, mi parve di avere la natura in mano e di abbracciarla tutta. La natura divenne un tutt’uno per me, una visione spirituale che mi scuoteva nel profondo, che mi scaldava il sangue. Compresi davvero che l’amore smuove il mondo, voglio dipingere la bellezza, l’armonia e la bontà del creato perché tutti sappiano che l’essenza della vita è nel sapere amare. E la terra ci ama e partorisce per noi le sue meraviglie, sì la terra partorisce fiori e alberi, come noi partoriamo i nostri figli e gli animali i loro cuccioli. In uno dei miei dipinti ho ritratto la maternità, la sua profonda bellezza è racchiusa nel chiarore che ho saputo diffondere nella stalla, una tenera e intima luce che conserva il brillio interiore che illumina l’amore pudicamente celato.
Vedrai Bice, si stupiranno ancora una volta di me a Parigi, li conquisterò con la mia ultima opera se avranno abbastanza sensibilità da comprendere il mio lavoro. È grandioso, unico e sarà eterno come solo l’arte può esserlo. Ed io sarò eterno attraverso l’arte, lo capisci Bice? Immortale. Perché attraverserò il futuro insieme a tutto quello che ho dipinto. Ho regalato l’immortalità ai paesaggi, ai miei modelli, persino agli animali che ho ritratto, pecore, mucche, cavalli, resteranno sempre sulla tela e saranno vivi per coloro che non conosceremo mai. Non è fantastico questo?
Bice, ho di nuovo tanto dolore ora. E paura, per te soprattutto. Non ho voluto che ti spaventassero, non ho voluto che chiamassero il dottore. Ho fatto bene? Oppure sono condannato? Cosa mai potrà succedermi? La morte forse? No, no … non ora, vedrai che passerà tutto. Se solo potessi alzarmi. Forse domani. E quando sarà domani? È forse notte ora? O albeggia? Non vedo nessuna luce se non quella che ho nella testa.
Ti ricordi il dipinto della giovane che scruta l’orizzonte, lassù fra le montagne? È mezzogiorno, si capisce dalle ombre, non si può sbagliare. Nessuno saprà mai cosa sta aspettando la giovane, lo sappiamo tu ed io ma sarà un nostro segreto, Bice. La ragazza è preoccupata o felice? Sta aspettando qualcuno? Non sarò io a rivelarlo, potrò al massimo dire che ogni luce ha la sua ombra, altrimenti come potrebbe risaltare il raggio del sole?
Ah, Bice sapessi come sono solo in questo momento. Il mio orgoglio non esiste più, per un attimo ho scorto mia madre seduta accanto a me. Poi l’ho vista alzarsi e allontanarsi senza dire una parola. Camminava. Io la ricordo paralizzata. Non ha mai potuto occuparsi di me, mi ha lasciato che ero un bambino spaventato. Forse è per questo che sono diventato così insofferente, estraneo alle convenzioni. Dentro mi sento libero, non voglio argini, le convenzioni sono argini, il denaro è un argine, anzi è concime.
Ho sofferto molto quando ero bambino, non ne parlo mai perché non voglio ricordare. È come se avessi messo quegli anni dentro una scatola e poi l’avessi chiusa e seppellita. Ma ho imparato a mie spese che il passato riemerge sempre, io lo caccio giù e lui torna a galla, come se fosse sughero. Dicono di me che sono eccentrico, ruvido, anarchico, solitario. La mia vita adulta si è forgiata sulla solitudine della mia infanzia, sulla mancanza d’amore, sul dolore e il lutto. Ho faticato per scrollarmi di dosso la sofferenza, ma le cicatrici dell’anima rivelano il doloroso percorso che ho compiuto. Come tutti anelavo alla felicità, all’armonia e se le ho fatte mie, lo devo alla mia caparbietà, perché nonostante tutto, ho creduto in me e nella vita.
E questa debolezza che provo ora, è estranea al mio essere. La mia volontà si sta piegando, non controllo il mio corpo, sembra staccato dalla mia mente; eppure, grazie al dolore so che vive. La testa invece è come un alveare, piena zeppa di pensieri che turbinano talmente in fretta che non li fermo. Mi escono tutti insieme, senza controllo o logica, come se avessi fretta di spiegarmi, mi capisci, Bice?
Mi sono assopito, credo. Forse è passato tanto tempo, forse lo penso solo io che vivo queste lunghe ore come la mia ultima interminabile notte.
Vedrò di nuovo sorgere il sole? Mi faranno di nuovo compagnia le vette altissime e innevate, sentirò ancora l’acqua del disgelo cantare, e vedrò l’erba farsi verde la prossima primavera e dipingerò ancora i primi fiori che punteggeranno i pascoli?
Ho un folle desiderio di trovarmi di fronte alla mia tela e imprimerci la purezza del mio colore e le mie lunghe pennellate, ho voglia di dare forma alla materia, crearla, forgiarla, firmarla con la mia vocazione continua. E non so cosa darei per vedere ancora la luce rarefatta delle mie montagne, per ricomporre la realtà che i miei occhi osservano, per organizzare il mio lavoro, per usare i toni puri e rendere l’acqua trasparente e il pelo dell’animale ruvido come lo tocco.
Non posso perdere tempo a letto, devo studiare, sperimentare, provare, anche se penso che la volontà umana sia solo apparenza. Ciò che ci sembra di fare, in realtà siamo costretti a farlo perché la natura lo pretende.
Non dobbiamo cercare Dio fuori di noi, noi siamo parte di Dio come ogni atomo è parte della natura. Io attingo a piene mani dalla natura, la natura è dentro di me e ne colgo la presenza divina.
La natura, la vita e la morte. È tutto qui, mia cara Bice. Siamo noi, racchiusi dentro queste tre semplici parole. In fondo è facile vivere, siamo nati per questo. E siamo nati per morire, per cadere dall’albero come un frutto maturo. La morte non è altro che il ritorno al paese natio. Il nostro essere mortale si integra con l’universo che ci circonda e di cui siamo parte.
Ricordati, Bice, solo l’arte e l’amore vincono il tempo, e sarà così anche per me, per noi.
Ho di nuovo tanto freddo Bice, le mie membra sono ghiacciate e davanti al mio sguardo famelico si innalzano le vette alpine, algide, lontane, dal colore livido della morte. Forse è davvero troppo tardi per me, ma adesso non ho più paura, non temo nulla. La mia arte vivrà al posto mio, per sempre.
L’arte mi ha donato l’immortalità, a lei ho donato la mia vita e il cerchio si è chiuso.