CHARLES SCHULZ E I PEANUTS
di Brunella Gilda Arena
I Peanuts sono la più lunga storia mai raccontata da un singolo artista. Sono le parole di Robert Thompson, storico dello spettacolo. Come dargli torto? La prima striscia venne pubblicata il 2 ottobre 1950, l'ultima nel 2000, un libro lungo 50 anni. Non è una cosa semplice e non è una cosa da tutti. Il titolo, Peanuts, si sa, vuol dire “noccioline”, qualcosa di piccolo, come piccoli sono i protagonisti di questo mondo dove bambini, cani e uccelli prendono la vita con filosofia, nel vero senso della parola.
Charles Monroe Schulz, il loro creatore, li pubblicò per qualche anno sul giornale della propria città con un altro nome, Lil' Folks, e solo in seguito divennero I Peanuts, nome che peraltro l'autore non approvava ritenendolo svilente per il proprio umorismo. Del resto, detestando il fatto che un fumetto fosse allora considerato una forma di scrittura e di “arte” di molto inferiore alla pittura e alla letteratura, è facile capire come un titolo del genere, che sminuiva ulteriormente le sue strisce, lasciasse l'autore scontento.
Quello che Schulz all'epoca ancora non sapeva era che i suoi personaggi erano destinati ad entrare nell'immaginario collettivo e a rimanerci per decenni, accompagnando generazioni di adulti e ragazzini alla scoperta di questo piccolo grande mondo e consegnando alla storia del fumetto qualcosa di irripetibile: la creazione unica nata dalla mente, dalla mano e dalla vita di un solo uomo.
Chi legge i fumetti lo sa, c'è spesso un susseguirsi di autori, penne e mani e questo, in un modo o nell'altro, si riscontra sia nei disegni che nelle storie e nei personaggi, in Schulz questo non accade, eccetto un'evoluzione stilistica dei disegni, la mano e il pennino sono solo ed esclusivamente i suoi, motivo per cui alla sua morte la produzione è terminata (in realtà era terminata un po' prima, ndr).
E questo perché se molti fumetti sono frutto di fantasia, di storia, di creazione e di invenzione, i Peanuts sono sì tutto questo ma il punto di partenza è più che mai reale: è l'autore stesso con tutta la sua vita ma, prima di tutto, con tutta la sua infanzia. Charlie Brown è figlio di un barbiere proprio come lo era Schulz e anche il nome richiama quello del fumettista (nonostante alcune fonti riportino che i nomi dei personaggi di Charlie Brown e di Linus derivino da due compagni di scuola di Schulz che seguivano con lui il corso di disegno, ndr) ed è stato più volte riscontrato il fatto che, anche caratterialmente, Chralie Brown fosse proprio come Schulz bambino: insicuro e impacciato.
Ma gli uomini crescono, i fumetti no, Schulz diventa adulto mentre i suoi piccoli personaggi rimangono della stessa età, come ogni fumetto che si rispetti: bambini adulti e adulti bambini, con tutte le considerazioni e derivazioni filosofiche del caso.
Un fumetto che nasce dalla vita e che da essa attinge a piene mani. La semplice scelta dei personaggi non è affatto casuale: oltre a Charlie e a Linus (che altre fonti identificano come un ragazzo conosciuto da Schulz durante la guerra con cui l'autore strinse una salda amicizia, ndr) anche molti degli altri personaggi attingono alla sua vita, c'è Lucy, identificabile con la prima moglie di Charles Schulz e fonte di continui e accesi diverbi con, nemmeno a dirlo, Charlie Brown; c'è la Ragazzina dai capelli rossi, di cui Charlie Brown è innamorato ai limiti dell'attonimento, che altri non è se non il primo amore di Schulz, Donna Johnson, che gli preferì un vigile del fuoco; in Sally, la sorellina di Charlie Brown, c'è qualcosa della seconda, e definitiva, moglie di Schulz, Jean Forsyth Clyde, che lei stessa, in un'intervista ha dichiarato: “Mi identificavo con lei perché avevo sempre chiamato mio marito 'il mio scimmiottino d'oro', come a un certo punto lei comincia a fare con Linus”.
Ancora, in Pig Pen, il bambino avvolto da una nuvola di polvere e sporco che stringe sempre saldamente in mano delle mentine dall'ormai dubbio colorito, c'è uno dei cinque figli di Schulz, Craig, che così ricorda il personaggio: “Io ero Pig Pen, il bambino sempre sporco, quello che calamita tutta la polvere che c'è in giro. Ed era vero: mi piaceva trafficare nel garage con pezzi meccanici e arrivavo a cena tutto sporco di olio e di grasso. E la cosa peggiorò quando ebbi abbastanza risparmi da comprarmi il primo scooter”.
E poi c'è Snoopy, che meriterebbe una storia a sé. Charlie e Linus sono i protagonisti, ma Snoopy è, prima di tutto, la testimonianza dell'amore di un uomo verso i cani, in generale, e verso il proprio cane nello specifico.
L'attinenza alla realtà è facilmente riscontrabile nel fatto che il primo cane del fumettista si chiamava Snooky mentre un altro cucciolo si chiamava Spike, come si sarebbe poi chiamato il fratello di Snoopy che vive nel deserto, ma soprattutto, era un beagle. Più o meno. Schulz ha sempre dichiarato la sua simpatia per i cani, che divenne amore quando la moglie portò a casa un peloso piuttosto malconcio, Andy, trovato su una spiaggia.
Con questo animale Schulz capisce fino in fondo cosa voglia dire l'amore di e per un cane ed è lo stesso autore a ricordare una frase che era solito ripetere alle proprie segretarie prima di andare a casa a fine giornata: “Bene, io vado a casa. Devo dedicare il resto della giornata a far felice il mio cane”. Se non è amore questo. Quando Andy si ammala e la famiglia è costretta a farlo sopprimere Schulz lo ricorda in una striscia in cui, in una considerazione sull'immensità del cosmo e del cielo stellato, Charlie Brown risponde a Linus, in maniera laconica: “Mi manca il mio cane”.
Snoopy ha un'altra caratteristica, quella di essere umanizzato ma fino a un certo limite, spesso nei fumetti animali e umani si capiscono, qui no, c'è un'intesa tra animale ed essere umano, che è una cosa diversa.
Noi leggiamo cosa pensa o prova Snoopy perché ci sono, appunto, i fumetti, ma un dialogo reale ed effettivo non c'è, come in effetti non esiste in natura. Eppure la comprensione è totale, il linguaggio e il livello comunicativo sono gli stessi, Snoopy è, a tutti gli effetti un umano a quattro zampe, che pensa e si comporta come un umano, ha addirittura degli alter ego, di varia natura, nati dalla sua sconfinata fantasia e dal fatto che, come sosteneva l'autore, “credo che un cane, costretto a trascorrere giornate abbastanza noiose, abbia il diritto di rifugiarsi in un mondo fantastico per passare il tempo”. Ora, il tempo e la noia sono naturalmente concetti propri dell'essere umano che qui vengono traslati a Snoopy, umanizzandolo.
I personaggi sono suoi, li ha caratterizzati e sviluppati lui eppure, in qualche modo, vivono una vita propria che a volte l'autore non sa spiegarsi, coma quando Schulz si chiede dove Snoopy abbia trovato “il casco e gli occhialoni da aviatore” o perché dorma sulla cuccia e non dentro. In fondo è un lasciare libere le proprie creature di vivere una vita di cui nemmeno l'autore è a conoscenza. Personalmente credo che la scelta sia imputabile al fatto che non conosciamo perfettamente nemmeno noi stessi, non possiamo pretendere di conoscere così bene gli altri, ma questa è una mia personalissima opinione.
La vita di Schulz torna, per esempio, nel gioco dell'hockey che i suoi piccoli personaggi praticano e che lui amava al punto da far costruire a Santa Rosa, un palazzetto del ghiaccio naturalmente intitolato a Snoopy. La sua vita si è riflessa nelle strisce che quotidianamente, e rigorosamente da solo (ha sempre detestato che gli si chiedesse se fosse proprio lui a disegnare a mano le vignette, ndr), ha prodotto instancabilmente e infaticabilmente per 50 anni e chi pensa che produrre una di quelle stripes sia una cosa semplice, beh, o non ne ha mai letta una o non ha saputo cogliere tutto quello che c'è dentro. Le frasi lapidarie, la filosofia spicciola solo in apparenza, le considerazioni disarmanti, l'umorismo, ma anche la storia, la religione e i temi etici e sociali sono riproposti spesso e dappertutto come la voglia di leggerezza e di positività, la fiducia e l'ottimismo che traspaiono da alcune strisce e che sono, pur sempre, il riflesso dei tempi e dei cambiamenti. È sempre Schulz ad affermare:
“Un'altra domanda che continua a sconcertarmi è questa: «Non disegna mai nelle sue strisce qualcosa che abbia un risvolto sociale?». Ho sempre avuto la sensazione che, nel corso degli anni, la mia striscia sia stata piena di episodi che avevano un risvolto sociale. Mi spiace pensare che molti di essi non siano così evidenti, il che non toglie che io abbia avuto cose importanti da dire”.
Schulz ha letteralmente dedicato una vita ai fumetti, prima con una passione/ossessione che nacque da bambino, al punto che il soprannome datogli dallo zio, e che lo ha accompagnato tutta la vita, era Sparky, dal nome del cavallo Spark Plug del fumetto Barney Google, e poi dando vita a un universo di vita mai urlata, mai volgare, mai fuori dalle righe, anzi potremmo dire ordinariamente normale, così tanto che chiunque legga il fumetto può ritrovarci un pezzetto di se stesso. Ha creato un mondo e un senso dell'umorismo in apparenza piccoli che racchiudono e rivelano grandi verità, dette con l'innocenza dei bambini ma che arrivano dirette al punto come se fossero pronunciate dagli adulti. E per fare questo non basta solo avere senso dell'umorismo e saper cogliere la situazione, serve anche una buona dose di sensibilità nel guardare le cose e le persone che ci girano intorno.
Schulz È i Peanuts e i Peanuts SONO a tutti gli effetti Charles Schulz e, perdonate l'ulteriore digressione personale, credo che la capacità più grande di Schulz sia stata sicuramente quella di restituire, in qualche modo, dignità e autorevolezza all'infanzia, i bambini sono esseri umani molto più complessi e finiti di quanto un adulto sia portato a pensare e il fatto che, spesso, non sappiano o non possano comprendere alcune cose non vuol dire che non arrivino a capire nulla o solo le cose elementari. I dialoghi tra Charlie e Linus ne sono la prova più che evidente, come le staffilate di Lucy o le considerazioni di Snoopy.
Schulz smise di disegnare i Peanuts nel 2000 perché “non sono più in grado di mantenere il ritmo di lavoro richiesto da una striscia quotidiana”.
L'ultima vignetta fu pubblicata il 13 febbraio del 2000, il giorno dopo la sua morte. Nel suo testamento scrisse che, per volontà propria e della famiglia, non voleva che fosse portata avanti la produzione di strisce dopo la sua morte affinché i personaggi si mantenessero così com'erano. Il 14 febbraio del 2000 il quotidiano inglese Times lo ha ricordato, oltre che come uomo, marito e padre anche come la figura che aveva lasciato al mondo “un piccolo bambino dalla testa rotonda con uno straordinario cane”.
Come per i grandi scrittori, Schulz ha perso la vita, ma i suoi personaggi vivranno per sempre.
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