"Under-acting", cosi' viene definito il suo modo di recitare, e siccome parliamo di uno dei più grandi attori dell'epoca d'oro di Hollywood, con una produzione trabordante al suo attivo, viene spontaneo misurare quanto conti l'uomo con la propria personalita' e quanto i canoni della recitazione, magari come oggi acquisita a un Actors Studio che sforna sempre piu' di frequente sorta di campioni di piattezza e grigiore.
La vita e la personalita' di Robert Mitchum non furono infatti meno interessanti della sua carriera di attore. Una sua caratteristica fu senza dubbio la sua schietta autoironia, quella sua tendenza a non prendersi sul serio nella professione di attore.
In un articolo su un settimanale italiano che lo intervistava negli anni Settanta e gli chiedeva se dopo tanti film e dopo tanti anni avesse in animo qualche cambiamento, rispose serafico che l’unica cosa che aveva l’abitudine di cambiare erano le mutande... In tanti hanno amato quella sua irriverenza, quella sua laconicità che poi quasi sempre era l’atteggiamento dei personaggi che interpretava.
"Thunder Road", un film minore, dove però cantava lui "La Ballata di Thunder Road" perché era anche buon cantante, e sono tuttora in circolazione suoi cd. Un dettaglio caratteristico del film, che Arthur Ripley, il regista, un po’mattacchione, non poteva aver inserito che in combutta con lui, è quando per fermare l’auto che lo stava inseguendo (e' contrabbandiere di whisky) lancia dal finestrino col classico gesto della pinghella un mozzicone di sigaretta accesa, che attraverso il finestrino aperto dell’inseguitore lo colpisce e lo fa finire fuori strada...!
Credo che vi siano alcune opere, magari considerate meno di altre dal mondo fasullo dei “critici“, che hanno lasciato un segno tale nella storia del cinema e del passaggio di Mitchum che non si può prescinderne per apprezzarlo, per godere due ore della sua appagante compagnia. E inizio senza indugio con "Heaven knows Mr. Allison" (in italiano un titolo più banale e pruriginoso "L’anima e la carne"), dove e' un Marine che si trova naufrago su un’isola del Pacifico, e trova come compagna di sventura una suora, Deborah Kerr. Ottimi dialoghi, spunti commoventi, suspense per le sorti dei protagonisti nella guerra contro i giapponesi.
E alla fine ci si arrabbia perché ovviamente si tifa perché lei lasci i voti, avendo mostrato di ricambiare l’amore che Allison a un certo punto le confessa candidamente ma con timore, e invece resta suora. Ma allora accontento' il pubblico piu' romantico la realtà, opposta a quel finale, e infatti i due si innamorarono perdutamente e dopo le riprese del film fuggirono in Inghilterra, letteralmente “cotti” uno dell’altra. Un bellissimo seguito!
Poi, che dire di "Duello nell’Atlantico" dove lui e' un giovane comandante di una nave americana antisom, e ingaggia un duello mortale col comandante esperto di un U-Boot tedesco, Curd Jurgens, con il finale dove si fa in quattro per salvare in extremis il comandante nemico e un suo amico morente. Una serie di scene che restano scolpite nella mente, e negli annali del cinema.
E c’è "La magnifica preda", con una Marylin al meglio del suo charm, e un Mitchum che snobba un po' quell' appeal allora universale, mostrando di avere più a cuore il futuro di suo figlio e gli insegnamenti da dargli per sopravvivere nel mondo durissimo del West. Per poi, attratto, quasi usarle violenza.
Vado avanti, e considero il più bel film di guerra mai realizzato, "Il giorno più lungo", in cui lui fu chiamato per il ruolo più cruciale, quello del generale Cota, comandante della 29a Divisione inchiodata nell’inferno di Omaha Beach. Credibilissimo a spronare tutti quei disgraziati ragazzi a uscire da quel tritacarne.
E alla fine, dopo tre ore di adrenalina, di combattimenti del D-Day a cui si assiste, tutto si placa, e lui, sopravvissuto, prende un sigaro che aveva nel taschino, ferma la prima jeep che passa, e pronuncia la fatidica frase “portami in collina ragazzo“, la battaglia è vinta, e sul suo volto è come se si leggesse che le sorti della libertà in Europa han fatto un grosso passo in avanti.
Nel gran numero di "noir" interpretati, per la verita' con alti e bassi, due chicche vedono un Mitchum ormai vecchio, col volto un po’devastato (lui disse, sempre in quella intervista, "avevo lo stesso volto devastato fin da giovane“), nella parte del detective Marlowe di Chandler. Due polizieschi classici, con la voce fuori campo in prima persona che ci mette a parte, piacevolmente, delle riflessioni del detective.
Si e' detto all'inizio della sua vita privata, che fu da giovane ribelle, ragazzo di strada nella Grande Depressione, hobo sui treni attraverso gli States, come era abitudine per chi era in cerca di fortuna e senza un dollaro in tasca. Venne anche condannato per vagabondaggio e gli affibbiarono un mese di lavori forzati, da cui fuggi'! E ora ditemi come e' possibile un accostamento, anche superficiale, coi ...manichini che escono oggi dalle scuole di recitazione!! Ve li immaginate ad evadere...?! E poi come lui Marine nella realta' e anche campione di lotta libera? ...