Questo film, di John Sturges, che ebbe l' idea dai "Sette Samurai" di Kurosawa, e' più di una pietra miliare del suo genere, va oltre, e' una summa di innovazioni e di trovate sceniche, un'opera geniale il cui tramonto credo non sara' mai possibile per una serie di elementi.
Si può partire dalla sua dinamica, dal ritmo incalzante, e da uno schema destinati a rivoluzionare il trito e in quegli anni ormai stanco filone del western, per poi passare alla sceneggiatura stringata e impregnata di ironia. Si puo' tranquillamente affermare che ciò che segui', ad opera del grande Sergio Leone, attinse proprio alla tematica e allo schema di quest'opera, che ne fu il preludio. Non c'entra più la storia più o meno vera dell'epopea del West, della frontiera cara agli americani, con i loro eroi, miti e romanticismo. Il nuovo schema e' nel confronto costante e diretto tra buoni e cattivi, tra giustizia e sopruso, frutto di assoluta e trabordante fantasia. E in questo confronto deve trovare posto l'ironia, il paradosso, personaggi non più' eroici ma eccezionali per altri aspetti, divertenti quanto coraggiosi, simpatici quanto funambolici.
Per toccare pero' certi vertici e' sempre necessaria un' opera corale, obiettivo maggiormente raggiungibile con un team di attori perfettamente scelto e integrabile al fine di conseguire quelle nuove caratteristiche. Vediamoli nei loro ruoli.
Uno Yul Brynner (Chris) carismatico, pacato, freddo, lucido e dal passo felino. La sua frase piu' bella "....mi hanno offerto molto, ma mai tutto" quando i portavoce dei contadini del villaggio messicano, periodicamente saccheggiato dai banditi, gli offrono il poco che avevano per la sua prestazione di pistolero.
Uno Steve McQueen (Vin) scanzonato e di simpatia straripante, forse una chiave per rendere l'opera accattivante e lieve al contempo sotto il profilo dei personaggi.
Un James Coburn (Britt) laconico che si batte con se stesso e un Charles Bronson (Bernardo O' Reilly) sanguigno e umano.
Un Brad Dexter (Harry) che, uscito dalle parti ambigue e da gangster dei noir degli anni precedenti, si rivela di grande simpatia nella veste del personaggio ingenuo e non molto perspicace.
Un giovane Horst Bucholz (Chico) che ricopre la parte del principiante troppo esuberante, una figura direi necessaria, con il look di quegli anni di esplosione giovanilistica.
Fuori parte completamente e anche scadente come recitazione Robert Vaughn (Lee) unico neo nella scelta dei personaggi.
Ely Wallach (Calvera), uno degli attori di Hollywood sempre in grado di essere ironico e simpatico pur nella parte del cattivo.
Già un numero consistente di ingredienti, ma "I magnifici sette" ne comprendono anche di più. Pensiamo al team di stunt-men necessari per far muovere a un ritmo vorticoso i tanti personaggi nel villaggio in cui si svolge una vera e propria battaglia, con salti di muretti, dai tetti, con cavalli presi al volo.
E che dire delle trovate, quelle che dovevano caratterizzare ed evidenziare i singoli personaggi : dal duello di velocità tra pistola e coltello, una primizia, a quella di riuscire ad estrarre la pistola più veloci di un battito di mani, o a cercare di essere cosi' veloci da catturare con la mano 4 mosche con un solo gesto.
Le cosiddette "smargiassate", le esibizioni di abilita' nelle varie situazioni, impossibili e improbabili, diventano da questo film in poi una costante importante per ogni regista del genere.
Eppure in tanta azione, fantasia ed esibizione di personaggi guasconi, roboanti, cinici, trova posto nel film una morale in linea con i tempi, che attinge alle tematiche sociali e anche pacifiste. Dalla necessita' della classe contadina di ribellarsi ai soprusi dei forti, con una rivolta che può decidere della loro sopravvivenza, alla sottolineatura dei veri vincitori e dei perdenti: i primi non saranno i professionisti delle armi, in realta' senza una causa e senza radici, ma i contadini con il loro sacrificio, a rischio delle proprie vite e famiglie. Considerazione che viene confessata apertamente nel finale dai protagonisti, ma ancora piu' bella nelle parole a suggello dell'opera, quando il vecchio saggio del villaggio dice ai pistoleros ingaggiati sopravvissuti che sono stati come un vento forte che ha liberato il terreni dalle locuste, ma chi ha vinto sono i contadini, perché sono loro la terra. In queste poche parole, ma inseriti discretamente anche attraverso tutta l'opera, troviamo i motivi delle lotte sociali degli ultimi due secoli e di una imprescindibile visione di giustizia.
Le splendide, epiche musiche di Elmer Bernstein rimangono a perenne sigla di un'opera d'arte intramontabile davanti alla quale ci si appaghera' sempre.