WILLIAM FAULKNER E IL SUD
di Brunella Gilda Arena
Partiamo da una doverosa premessa, Faulkner non avrebbe mai approvato, ammesso o apprezzato un'incursione nella sua vita privata, per cui, con buona pace della curiosità e dell'invadenza tipica dei nostri giorni lasceremo da parte l'uomo per dare spazio allo scrittore, per quanto le cose si possano separare, naturalmente. Fu l'autore stesso, nel 1955, a scrivere un saggio dal titolo "Privacy". Il sogno americano: cosa ne è stato? In cui difendeva strenuamente il diritto di un autore a vivere, appunto, la propria privacy senza che nessuno si interessasse o scrivesse della sua vita privata ma si limitasse a considerare solo le opere. Lo scritto era la risposta a una biografia, non autorizzata, pubblicata sulla rivista Life. Per cui, rispetteremo la sua privacy, in questo caso postuma, come detto prima, nel limite del possibile, perché nelle opere di un autore, c'è quasi sempre buona parte di lui e, a volte anche della sua vita.
In Faulkner un elemento su tutti vive nei suoi romanzi e nei suoi racconti, il Sud da cui proviene. Quel Mississippi polveroso, lento e a volte indolente in cui l'autore è nato e ha vissuto, le due entità non si possono scindere e l'autore non ci prova nemmeno, anzi, quelle pagine sono “sue” non tanto per la sua presenza come pregresso ed esperienza personale, quanto come luoghi e spazi reali e fisici. E quello che forse molti non sanno è che l'invito a occuparsi di quello che conosceva bene sia come dinamiche che come luoghi arrivò da un altro scrittore, Anderson, che gli disse di focalizzare la sua attenzione “sul piccolo pezzo di Mississippi in cui era nato”, di questo Faulkner gli fu eternamente grato perché, proprio grazie al consiglio, che l'autore seguì, è da sempre considerato uno dei massimi autori del secolo scorso, non solo della grande tradizione americana, alla stregua di Ernest Hemingway, ma le sue opere gli valsero il premio Nobel nel 1949.
Per quanto apprezzato, seppur tardivamente, dai lettori, e tenuto in gran considerazione dagli autori a lui contemporanei (Hemingway stesso lo definisce quello che “ha più talento di tutti noi”), la sua prosa non è facile, affatto, ed è sempre Hemingway ad aggiungere “[...] scrive quando è stanco e non elimina mai il superfluo”. E come dargli torto? La scrittura di Faulkner, da molti considerata un vero e proprio esercizio di stile e di ricerca della parola perfetta, risulta a volte ridondante e verbosa e il suo stile ricorda, a volte, quello di Joyce: un fiume di parole che riflettono pensieri e personalità dei protagonisti ma da cui spesso il lettore si sente escluso. Le vibrazioni ci sono, le descrizioni anche e il lettore prova a immedesimarsi e a entrare nei personaggi ma a volte è costretto a restare all'esterno, a guardare, come un vero e proprio spettatore. Nella postfazione al romanzo " L'urlo e il furore ", l'autore Attilio Bertolucci, ben consapevole della prosa di Faulkner, si pone nei panni del lettore ed enuncia tre eventuali situazioni in cui avrebbe potuto trovarsi e cosa gli avrebbe consigliato di fare. Inutile dire che era contemplato anche l'abbandono del romanzo, sfiduciati dal riuscire ad entrare in connessione con la storia e cercando nelle sue parole una
spiegazione, un senso, un aiuto insomma.
Al di là dell'eccessiva ricerca di parole e delle descrizioni fin troppo dettagliate e minuziose, ci sono anche le dinamiche stesse che, a volte, risultano non proprio chiare e che Faulkner stesso definì come “una realtà che è nota solo alla gente del sud”, eppure, nonostante queste difficoltà c'è un'indubbia capacità dell'autore: rendere e trasmettere l'animo umano e le mille sfaccettature presenti in esso.
Autore dalle trame sicuramente non allegre e spensierate, nei suoi testi non manca l'ironia ma prevalgono sicuramente le situazioni che definire complicate è dire poco, nei suoi scritti, sotto certi punti di vista non c'è speranza, le cose che iniziano male finiscono così, se non peggio e chi si adopera per dare una mano, come può, lo fa a caro prezzo. Ed è proprio in mezzo a questo turbinio di personalità e situazioni che si colloca l'abilità nel trascrivere su carta comportamenti e reazioni, sensazioni e sentimenti, in un modo a volte forse ostico ma altre volte molto realistico. Faulkner, durante il discorso per il Nobel, disse che “il cuore umano in conflitto con sé stesso può fare da solo una buona storia, perché è l'unica cosa di cui valga la pena scrivere”.
E l'animo umano si esprime per bocca dei personaggi che parlano e si muovono sulla scena e qui entra in gioco un'altra grande abilità dell'autore, la diversificazione estrema del linguaggio a seconda di chi pronunci le parole, se a esprimersi è l'ultimo dei dimenticati le parole sono grossolane, il discorso quasi sgrammaticato e questo contribuisce a rendere più vivido e realistico il personaggio anche senza ulteriori descrizioni e, in molti casi, il personaggio lo definiamo proprio attraverso il linguaggio, ancora prima di capire chi sia o cosa faccia.
Fernanda Pivano nell'introduzione a una raccolta di romanzi dell'autore racconta come l'autore avesse detto di essere mosso a scrivere da “un demone che lo spingeva” e sottolineava come questo fosse “un demone che lo conduceva a molte ripetizioni, facili o esaltate in una verbosità ridondante, o comunque elaborata, con un effetto cumulativo innegabile”, ma la Pivano aggiungeva anche che “col tempo, diventato più esperto, Faulkner scese a patti col suo demone e non cadde più nella verbosità o nella esuberanza […]. La ricchezza del suo linguaggio trovava la sua giustificazione nella struttura tematica del libro […]. Faulkner è sicuramente maestro di dialoghi. Il suo 'pezzetto di terra' che Sherwood Anderson gli aveva indicato, lo conosceva in ogni dettaglio, da narratore dinamico al di là di qualsiasi cronaca e di qualsiasi flusso di coscienza”.
Lette così queste parole sembrano creare una rottura, un prima e un dopo, quasi un'incapacità e poi una ritrovata abilità, ma non è affatto così : semplicemente lo stile di uno scrittore cambia, naturalmente, con gli anni, le storie e la vita ; a un inizio difficile, che nel linguaggio rispecchia ricerca estrema e perfezionismo, ci si potrebbe vedere la difficoltà dell'esordio, che una volta superata e quando all'autore vengono riconosciuti meriti e abilità, si scioglie in una linguaggio sempre oltremodo ricercato ma meno “cumulativo”, come lo definisce la Pivano.
Se " L'urlo e il furore " e' il romanzo più caro all'autore ed è quello che gli attira l'occhio della critica, " Santuario " è quello che gli dà successo presso il pubblico e la cosa lascia piuttosto perplessi dato che questo testo fu scritto “per motivi di lucro” dato che l'autore si trovava in un periodo non proprio florido dal punto di vista economico. Inutile dire che l'ambientazione, per entrambi è sempre quel Sud tanto caro all'autore e che ancora la Pivano definisce così: “È il Sud che Faulkner ci ha narrato sin dai tempi degli indiani Chicasaw e Choctow. […] quel mondo immaginario, affondato nella realtà di un Sud che Faulkner andava frugando e imponendo alla consapevolezza comune via via che lo cantava, era sconosciuto agli stessi americani”. Non a caso la contea di Yoknapatawpha in cui è ambientato " L'urlo e il furore " è un luogo immaginario ma che riproduce il Sud e la sua vita.
Faulkner è stato definito, con Hemingway, “il più grande scrittore americano contemporaneo” (la datazione è naturalmente quella dell'epoca, ndr), dove uno ha raccontato l'America e l'Europa con un linguaggio diretto ed essenziale, ma non per questo privo di descrizioni e, soprattutto, di vita, e l'altro ha dipinto dei quadri e dei ritratti dalle tinte più soleggiate, perché specchio del Sud , ma inesorabili, dalle parole ricercate che, nella loro lunghezza, hanno contribuito a creare quella sensazione di ineluttabilità; alla frenesia delle feste e delle corride, agli orrori della guerra da un lato, fanno da contraltare i destini di personaggi quasi sonnolenti, le barbarie avvengono anche in queste contee così lontane e sconosciute ma sono quasi ammantate dalla polvere e dalla lentezza, come se avvenissero in posti remotissimi che abitano l'essere umano.
Bibliografia e fonti: Introduzione di Fernanda Pivano a Romanzi – Volume Primo, William Faukner, Mondadori, 1995
Postfazione di Attilio Bertolucci a L'Urlo e il furore, Mondadori, 1980
Privacy di William Faulkner, Garante per la protezione dei dati personali, 2001
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