Delle tante canzoni del ventennio fascista, quasi tutte tese a celebrare il regime, i suoi principi e i suoi successi, qualcuna e’ autenticamente patriottica e altrettanto genuinamente dedicata a uomini che si giocarono la vita in modo assolutamente cavalleresco affrontando un avversario, quasi sempre superiore tecnicamente, nei cieli, un luogo dove certe umane miserie sono decisamente più rarefatte, lontane come sono dagli eventi che si verificano a terra. I piloti italiani non mancarono mai di generosità nei confronti dell’avversario, che in parecchie circostanze cercarono anche di salvare da una fine certa.
Nell’Aviazione c’era passione, cuore e la consapevolezza che quella divisione tra la vita e la morte rappresentata da un filo sottilissimo che poteva spezzarsi in ogni istante, c’era contemporaneamente per se’ e per l’avversario, e un niente poteva accomunarli nella morte.
Ferdinando Crivelli,in arte Crivel, autore di tanti motivi del regime, qui da’ il meglio di se’, ha capito che gli aviatori sono altra cosa rispetto agli uomini che si massacrano sul terreno, non foss’altro per quella marcia in più di lealtà e passione. Compone così’ nel 1936 “ Il canto dell’Aviatore “ celebrando il coraggio e lo slancio di questi uomini, che e’ più’ esatto definire gentiluomini, gente che si buttava oltre l’infinito in primis perché amavano il volo e l’ignoto del cielo. Li definisce ...dell’ Italia il più’ bel fiore ... giustamente, e ha detto tutto, di tutti!